23 maggio 1992. Boato. Come sudario eterno cielo e terra a Capaci coprono le carni straziate di Giovanni Falcone, e Francesca Morvillo, magistrati, di Antonio Montinaro, Vito Schifano, Rocco Dicillo, poliziotti.
Ma è come se esse fossero ricadute in pentecostali schegge di fuoco. Da allora Giovanni Falcone continua a vivere nel dolore e rabbia di molti, nella voglia di riscatto, nei sorrisi dei giovani.
Ciascuno si sente colpevole di non aver fatto quanto doveva per non contribuire all’apatia, alla facile delega, alla connivenza sottile, all’omertà. Insomma a quel clima di cui si nutrono famelicamente la cultura mafiosa e l’illegalità politica. Facce di una stessa medaglia.
La prima datrice spietata di morti (Chinnici, Costa, Falcone, Borsellino Dalla Chiesa, Giuliano, Cassarà..), la seconda paludata di colletti bianchi in banche e potere, scanni politici ( Lima, Sindona, Calvi…).
23 maggio 2019, 27 anni dopo, cortei, grida, striscioni, talk show, attori, cantanti, targhe, premi, persino una nave della legalità. Commemorazioni e discorsi in tante città.
Oggi a Capaci, dove le carni si fusero con lamiere diventando bare contorte, domani a Via D’Amelio dove Paolo Borsellino, magistrato, divenne brandelli di carni bruciate fu torcia umana e Emanuela Loi, Vincenzi Limuli, Walter Cosina, Agostino Catalano, Claudio Traina, macabri frutti di sangue sugli alberi.
GIUSTIZIA COMPIUTA? VERITA’ STABILITA?
“Occorre un pentito nelle Istituzioni”, tuonò l’anno scorso la seconda carica dello Stato. Ragazzi, ora ci siete voi, sbarcate, gridate, scuotete bandiere e striscioni !
Attenti, però. Sciascia ieri denunciò “i professionisti dell’antimafia”. Attilio Bolzoni oggi parla di “mafie incensurate”.
Lo scacciapensieri continua a suonare, con altri toni.
Vergogna!
Giovanni Falcone col suo sorriso triste e pensoso continua a pesare sulla coscienza di camaleonti, assassini, mandanti, politici di questa Italia bella e sciagurata.
Lettere dell’albero di Giovanni Falcone a Palermo dopo la strage del 23 maggio 1992