Un Don Chisciotte che cammina coi piedi appoggiati sulle nuvole.
Quel DNA Nasce da lontano! 1960, alla Casa dello Studente di Genova, molti studenti della mensa diverse volte sono stati male. Sigilla davanti alla Direttrice della mensa, le “fettine” servite. All’Ufficio igiene la carne risulterà igienicamente non sana. Gli studenti iniziano lo sciopero della fame. La gestione sarà cambiata.
Partito per il servizio militare come Allievo ufficiale di complemento, vince la selezione nell’Arma e dal 1965 al 1968 è sottotenente.
Prima sede di servizio assegnato al Battaglione Meccanizzato CC che si trova sul Forte San Giuliano a Genova. In un servizio di ordine pubblico aiuta un ufficiale che viene ripetutamente immerso da dimostranti nella vasca a De Ferrari. Lui stesso resta ferito. Riceve dal Comando Generale un encomio solenne.
Durante il servizio al Battaglione meccanizzato a Forte San Giuliano rifiuta di firmare il “consueto” verbale dell’ufficiale di turno: qualcosa è non chiaro circa il consumo di carburante dei carri armati ivi in dotazione.
Probabilmente per questo viene subito trasferito per “missione di breve durata” con un plotone in Alto Adige. Sono i tempi del terrorismo alto-atesino. La missione si protrae invece per mesi. Scrive al Comando Generale: viene fatto rientrare. al rientro a Genova viene subito trasferito a Siracusa a dirigere il Reparto investigativo. Dopo qualche mese è inviato a Catanzaro come ufficiale addetto, e poi comandante, della Compagnia Speciale per il processo antimafia ( La Barbera+ 112) che terminerà nel 1968. Riceve un riconoscimento dell’Autorità Giudiziaria.
Nel 1969 vince il concorso presso il Ministero dell’Interno. Tra i primi del corso presso l’Istituto Superiore di Polizia, presta giuramento come funzionario di pubblica sicurezza. Capo della Polizia è Angelo Vicari.
Da allora il fascicolo “personale” conterrà note positive, premi ed elogi, per i servizi di polizia giudiziaria compiuti.
Durante il contenzioso amministrativo col Ministero” emergeranno “veline e note riservate” per l’impegno “carbonaro” nel Movimento per la riforma della polizia.
Ha scritto nel 1973 una lettera ai Segretari Generali CGIL-CISL-UIL. Ha organizzato alcune riunioni. Si è incontrato a Roma con altri “poliziotti carbonari” con parlamentari e sindacalisti vicini alla riforma di Polizia. Partecipa alla marcia con i cittadini per il 25 aprile per deporre una corona al monumento dei partigiani in Via XX settembre a Genova.
Gli anni della "strategia della tensione"
A fine 1973 viene trasferito da Genova, con rimpianto di cittadini e giovani. Il Questore Santillo lo vuole all’Ispettorato Generale Antiterrorismo istituito nell’estate 1974 dopo la strage di Piazza della Loggia a Brescia. Sono gli anni di violenze, di piombo e di stragi: “la strategia delle tensione”. Santillo lo invia ad Empoli per indagare sugli omicidi del 24 gennaio 1975 dei poliziotti Leonardo Falco e Giovanni Ceravolo, commessi da Mario Tuti. E’ sulle sue tracce a Viareggio. Viene subito fatto rientrare, dopo un dissenso con un magistrato di Arezzo (risulterà essere il genero di Licio Gelli). Neanche Santillo può fare niente. L’ordine viene dall’alto. Ha toccato fili che si intrecciano? Viene trasferito nel febbraio 1975 alla Questura di Roma.



Appena giunto, l’Amministrazione apre un procedimento disciplinare a suo carico con l’accusa di avere scritto a Aldo Moro, allora Presidente della DC, sulla necessità di riforma della Polizia. Il procedimento è basato su un articolo apparso su un giornale in cui Di Francesco viene indicato come firmatario. Si concluderà dopo mesi: non c’è alcuna lettera da lui firmata. E’ stata infatti da lui avallata per telefono da Empoli al Comitato del “movimento carbonaro” che la pubblica (era quindi sotto controllo?).
Dal 4 marzo ’75 è Capo della “Narcotici” della Squadra Mobile romana, guidata da Fernando Masone. E’ già avvenuto il sequestro di Gianni Bulgari, subito liberato, e si è appena verificato il sequestro di Amedeo Ortolani. Di Francesco, col collega Carlo Iovinella della Sezione sequestri, scopre un’alleanza marsigliesi-bande romane.
Il 3 luglio ’75 si verifica l’episodio “spinello fumato pubblicamente” da Marco Pannella
Il 3 luglio ’75 si verifica l’episodio “spinello fumato pubblicamente” da Marco Pannella. Di Francesco lo arresta, ma con un telegramma riservato esprime l’augurio che la norma “anacronistica e ingiusta” che obbliga ad arrestare anche giovani e tossicodipendenti venga cambiata. Pannella rende noto il telegramma.
Il 17 luglio viene trasferito all’ufficio passaporti. L’Amministrazione apre un procedimento disciplinare e Di Francesco viene denunciato all’Autorità giudiziaria “per i reati che si vorranno ravvisare”.

Deve anche interrompere l’indagine che avrebbe poi rivelato collegamenti criminalità-logga P2-un funzionario di polizia. Il procedimento a suo carico sarà archiviato dal Sostituto Procuratore della Repubblica Giorgio Santacroce. Si è aperto intanto un dibattito nell’opinione pubblica, con l’intervento di giuristi, uomini di cultura. La legge viene cambiata nel dicembre 1975, ed è anche istituito il Servizio Centrale Antidroga.

Il nuovo Ministro Francesco Cossiga, favorevole peraltro alla riforma di polizia, lo recupera a compiti operativi. Per poco tempo è alla Criminalpol Lazio, diretta dal vicequestore Clemente. Il questore Ugo Macera, divenuto Direttore della Criminalpol, nel luglio 1977 lo vuole a dirigere ivi una sezione speciale antidroga. Diverse operazioni svolte attirano l’attenzione in campo internazionale.
Rientrato a Roma viene assegnato al Servizio Centrale Antidroga , che lui stesso a contribuire, in posizione emarginata. E’una figura storica del Movimento, ma non è nel Sindacato-Potere. Partecipa nel luglio 1986 a un convegno a Isola delle Femmine a Palermo. Ninni Cassarà, suo ammiratore ed amico, viene ad ascoltarlo. Il 6 agosto questi viene ucciso. Di Francesco chiede di andare a Palermo, ai suoi funerali. Nessuna risposta dall’Amministrazione né dal Sindacato. Dolore, emarginazione, lo inducono a presentare domanda di trasferimento al Ministero degli Esteri, dopo avere scritto una lettera su Ordine pubblico: “Lascio la Polizia con la morte nel cuore”-
Persino Cossiga, ormai Presidente della Repubblica deve arrendersi, agli uomini forti del Viminale.





Contenzioso amministrativo col ministero


Gianni De Gennaro, suo più giovane collega che gli è succeduto alla narcotici di Roma chiedendogli suggerimenti, che si era avvantaggiato anche di operazioni da lui svolte all’Interpol è diventato Capo della Polizia. Di Francesco non troverà mai in lui un aiuto, anzi, Eppure lo ha ben conosciuto, scrivendogli elogi. Il gioco diventa chiaro: mai promuoverlo e rottamarlo. La legge 121/81 nella transitoria lega l’età di pensionamento alla qualifica raggiunta. Di Francesco, assistito dall’Avvocato Tomassetti-Studio Prosperetti, presenta ricorso al Magistrato ordinario del Lavoro. L’Amministrazione solleva questione di giurisdizione. In Cassazione viene decisa la competenza del Magistrato amministrativo. Di Francesco esperisce in questa sede cinque ricorsi amministrativi, vincendo quelli per riferiti ai Consigli di Amministrazione degli anni 2000-2001-2002-2003. Intanto la rottamazione incombe. Dal suo rientro in Polizia non è mai stato promosso, non gli è stata non ricostruita la carriera, è stato scavalcato da oltre 700 collegi, quasi tutti più giovani di lui.
Il I° maggio 2004 viene posto in congedo anticipato d’ufficio.
I Giudici del TAR-Lazio nelle sentenze, depositate nel luglio 2004, a congedo avvenuto, condannano l’Amministrazione a pagare le spese processuali e ne stigmatizzano il comportamento: “..attraverso l’attribuzione discrezionale di un punteggio.. svincolato da qualsiesi parametro, o meglio fittiziamente ancorato a determinati parametri, si dà luogo nella sostanza, ad una valutazione idonea…a precostituire il punteggio globale al di fuori di ogni controllo di legittimità..”, ….“la discrezionalità dell’Amministrazione non può dilatarsi sino al punto di trasformarsi in arbitrio …”.
L’Amministrazione è condannata a “ rinnovare la valutazione in comparazione con tutti i vincitori delle diverse selezioni … previa determinazione dei sub-punteggi massimi con adeguata motivazione del relativo punteggio attribuito”. Ma tarda a dare esecuzione alle sentenze e lo fa solo, allorché il giudice del TAR-Lazio nomina “per ottemperanza” un “Commissario ad acta”. Ma solo fittiziamente l’Amministrazione esegue il dispositivo del Magistrato, anzi aumenta i criteri di discrezionalità stigmatizzati.
Di Francesco non viene promosso. Continuano i ping-pong tra TAR e Consiglio di Stato, sino a giungere, dopo quindici anni alla sentenza del Consiglio di Stato, che rigetta i ricorsi di Di Francesco.
Di Francesco intanto ha scritto sulla vicenda al Capo della Polizia, Gianni De Gennaro, una lettera che, non avendo ricevuto risposta, viene pubblicata sulla rivista Polizia e Democrazia.


Contenzioso col Ministero.
Contro la sentenza del Consiglio di Stato è stato presentato nell’ottobre 2018 ricorso in Cassazione per difetto di Giurisdizione. Si è in attesa della decisione della Corte Suprema, per potere in ogni caso adire la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.
Il “petitum” per cui si è potuto procedere è infatti di natura risarcitoria. Ma la vicenda kafkiana del commissario Di Francesco sottende a un meccanismo creato dal’Amministrazione dell’Interno che, forzando lo spirito della riforma 121/81 di “civilizzazione” della polizia ha compresso per i funzionari di polizia il “diritto” a svolgere il proprio lavoro professionale non potendo più ricorre in sede di Giustizia ordinaria, ma obbligandoli a ricorrere al Giudice amministrativo. Si è creato di fatto un muro di discrezionalità-arbitrio, per carriera di cordate e servilismi. Ci sarà un Giudice a Berlino?
Dice tutto la frase che Corrado Stajano ha scritto, pur non conoscendo di persona il commissario Di Francesco.
