Mi spiace cari amici, darvi il buon giorno con l’amaro spunto di riflessione suscitato dal titolo in prima pagina del quotidiano abruzzese di ieri che sotto vedete. Ancora un “tutore dell’ordine” si è ucciso. Lo stillicidio continua. Non sono né medico, né psichiatra né  esperto o solone di “salotti mediatici” per parlare del “male oscuro” che esplode, non di rado, in “suicidio”.  Lo faccio umilmente con la lancinante domanda che mi arrovella, come leggerete se vorrete nel brano che sotto riporto, da quando giovane “commissario della Notturna” a Genova dovevo intervenire in casi del genere. Il “suicidio” è sempre esistito. Taglia trasversalmente ogni strato sociale, ricchi e poveri, donne e maschi,  giovani, anziani e  persino adolescenti, persone di successo e sconosciuti, artisti e scienziati; nonché verticalmente  in ogni epoca, dai tempi biblici  ad oggi, e verosimilmente domani. Ne hanno parlato da Aristotile a Sofocle, da Goethe a  Freud, da Durkeim a Boumann, e tanti altri, filosofi, studiosi e religiosi. Quel che qui fa amaramente riflettere è che il drammatico fenomeno sembra verificarsi con preoccupante percentuale tra i “Tutori dell’ordine”, indipendentemente dalla divisa indossata, cioè tra le “persone armate” che   sono delegate a tutelare la “sicurezza di tutti”. Quale malessere può favorire o scatenare tali tragedie, individuali, familiari e sociali? Quale logorante “burnout”  nella professione di questi  “custodi di sicurezza” che debbono intervenire nei casi più pericolosi,  contraddittori e logoranti del convivere sociale? In scontri  a fuoco,   litigi in famiglia,  indagini criminali, finanziarie  e mafiose,  scontri di piazza per conflitti non politicamente risolti; soccorsi o diverbi con emigranti? Che debbono  fare scudo col proprio corpo a magistrati e magari famosi scrittori;  rilievi  con morti in  incidenti stradali, ferroviari, aerei; in  suicidi magari di propri colleghi..? Tutto ciò tirando avanti tra  paure, problemi e tentazioni, sotto l’occhio critico e non di rado spietato di cronisti, telecamere, magistrati, soloni, accusatori pronti al loro linciaggio. Ho cercato di attirare l’attenzione delle  “gerarchie”, spesso più pronte a orpelli,  sfilate e nomi in grassetto. Vanamente! Nell’anno appena trascorso 18 della Polizia di Stato, 17 Carabinieri, 11 della Polizia Penitenziaria, 6 della Guardia di Finanza, 5 della Polizia Locale, 1 dei Vigili del Fuoco, 9  delle Forze Armate, 2 Guardie giurate, si sono tolti la vita. Quanti il 2020?  Una giornalista, che stimo, mi ha rimbrottato di avere commentato un suo post sul menzionato suicidio con la recente intervista, che qui riporto, per chi vorrà ascoltare a Radio Radicale. In essa c’è, tra l’altro,   l’invito ai responsabili ministeriali,  gerarchici e sindacali delle Forze di Polizia,  a non seguire la politica dello struzzo, ma a studiare con continuità,  attenzione, preparazione, cautela, “insieme e non come corpi separati”, il  dramma dei loro Collaboratori, al fine di  predisporre  forme di allerta e  supporto, per cercare di prevenire, per quanto possibile! Ciò non solo perché è proprio  dovere, ma per rispetto verso i preziosi Collaboratori e il dramma delle loro famiglie, spesso con adolescenti o  bambini. E per ciascuno  il “dovere civile e morale” di rispondere alla domanda che si pone Norberto Bobbio dopo avere letto il mio “Un Commissario”, espressa nel disegno di Nazareno Giusti, un poliziotto-artista, per me Maestro ed amico, che  ha voluto lasciarci l’aprile scorso, a 30 anni. Vostro Ennio

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